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12/08/2024L'amore e l'interesse reciproco tra Italia e Giappone è ai massimi livelli, ma quale fu l'italiano che per primo visitò il Paese Del Sol Levante? Quando i giapponesi per la prima volta vennero in Italia? Quale è stato l'andamento dei rapporti nei secoli? Continua a leggere per scoprirlo!
Quando il Giappone Conobbe L'occidente
Sebbene le relazioni tra il Giappone e Italia siano formalmente iniziate con la firma del primo trattato di amicizia nel 1866, i primi contatti tra le due nazioni risalgono al XIII secolo, quando Marco Polo (1254-1324) durante la sua permanenza in Cina apprese dell'esistenza del Giappone, che chiamò col nome di Cipango (o Zipangu).
Sebbene non abbia mai messo piede sul suolo giapponese, il navigatore veneziano descrisse il Giappone come una grande isola indipendente ricca di tesori. A lui è attribuito il merito di essere stato il primo a introdurre il "Paese del Sol Levante" nell'immaginario europeo.
Il Giappone rimase relativamente isolato e quindi immune all'influenza occidentale almeno fino al 1543, quando una nave cinese spinta fuori rotta con a bordo i mercanti portoghesi António Mota e Francisco Zeimoto approdò nel paese asiatico.
Da quel momento in Giappone iniziarono ad arrivare sempre più navi di mercanti portoghesi e spagnoli con a bordo anche dei missionari.
L'Impatto di Questo Incontro
L'arrivo degli europei in Giappone negli anni 40 del '500 ebbe un impatto profondo sul panorama politico giapponese: infatti al momento del primo contatto con gli europei, il Giappone era in piena guerra civile.
Gli europei portarono con sé non solo nuove idee, opportunità commerciali e ovviamente il cristianesimo, ma anche armi potenti sotto forma di archibugi. Fino a quel momento, la strategia militare giapponese si era basata sul combattimento corpo a corpo con il supporto di arcieri, alcuni a piedi e altri a cavallo.
Molti daimyo riconobbero il vantaggio della nuova tecnologia e iniziarono a comprare le armi da fuoco, impiegando poi i propri fabbri e artigiani per produrre le armi localmente. In alcuni casi, i missionari scambiavano armi solo con quei daimyo che si convertivano al cristianesimo.
Nel giro di pochi decenni le armi da fuoco divennero abbondanti e le strategie militari dovettero adattarsi , non senza effetti devastanti. Nel 1575, in una campagna contro il clan rivale Takeda, Oda Nobunaga decimò le linee di cavalleria dei Takeda utilizzando truppe armate di fucili.
L'adozione di questa nuova tecnologia fu un fattore significativo che permise a Oda Nobunaga di emergere come il daimyo più potente del Giappone, cambiando le sorti del Paese.
Il Grande Ruolo di San Francesco Saverio
Come detto, insieme ai commercianti, arrivarono anche i missionari, che riuscirono a convertire un grandissimo numero di giapponesi, tra questi San Francesco Saverio.
Francesco Saverio (1506-1552), missionario cattolico e sacerdote gesuita, fu il primo cristiano a portare il messaggio del Vangelo in Giappone nel 1549, trascorrendo quattro o cinque mesi a Yamaguchi. In memoria della sua opera, nel 1952 in occasione del 400° anniversario della sua morte, fu costruita una chiesa, poi ricostruita nel 1998 dopo un incendio.
Francesco Saverio, pur essendo un membro della nobiltà basca e inizialmente poco incline all'azione, fu profondamente ispirato dalla fede e dall'esempio di Ignazio di Loyola (1491-1556), tanto da farsi prete. Dopo aver contribuito alla fondazione della Compagnia di Gesù, gli venne affidato il compito di evangelizzare le terre dell'Estremo Oriente. Durante la sua missione, incontrò un ex samurai che lo incoraggiò a recarsi in Giappone, descrivendolo come una terra particolarmente predisposta all'evangelizzazione cristiana.
Il legame tra il Santo ed il Giappone ha inizio a Malacca, nel dicembre 1545 grazie all'incontro con Anjiro, un nobile giapponese della classe dei samurai, che riuscì a incontrare Francesco Saverio dopo due anni di ricerche.
Il peso di un omicidio commesso nel suo paese tormentava il giapponese da anni, ma l'eco della fama del missionario spagnolo, noto per la sua sapienza e dedizione ai poveri, lo aveva spinto a cercarlo.
In quel momento Francesco Saverio, dopo aver operato come nunzio apostolico a Goa, aveva scelto di vivere tra i poveri in India (a partire dal 1542), convertendo migliaia di persone. Anjiro, spinto dalla sua angoscia e dal desiderio di redenzione, si mise in viaggio verso l'India per incontrarlo. Dopo varie vicissitudini, tra cui un naufragio, riuscì finalmente a trovarlo nella chiesa di Nostra Signora della Montagna. Qui, il samurai si inchinò, riconoscendo in Francesco Saverio il suo maestro.
Le conversazioni con Saverio risvegliarono in Anjiro la fede cristiana, e Francesco, affascinato dalle descrizioni del Giappone, iniziò a intravedere in quel paese un potenziale straordinario per l'evangelizzazione. Francesco Saverio era meravigliato dalle descrizioni di Anjiro su un Giappone abitato da uomini saggi e razionali. Comprendeva che, se fosse riuscito a conquistare la fiducia della nobiltà e dei sapienti, il resto della popolazione avrebbe seguito.
Nonostante le sfide enormi che si sarebbero presentate, come la difficoltà della lingua e l'ostilità verso gli stranieri, Francesco era determinato a portare il messaggio cristiano nel paese del Sol Levante. Tuttavia, la sua eredità rimase viva, specialmente in Giappone, dove il suo discepolo Anjiro, divenuto frate Paulo de Santa Fe, continuò l'opera di evangelizzazione.
Francesco Saverio fu canonizzato nel marzo 1622 da Papa Gregorio XV, insieme a Ignazio di Loyola, diventando il patrono delle missioni.
San Francesco Saverio in Giappone
Con le informazioni di Anjiro, le informazioni fornite nella relazione del capitano Álvarez e ispirato dai numerosi racconti dei mercanti portoghesi, Francisco Saverio intraprese il suo viaggio verso il Giappone, dove sbarcò il 15 agosto 1549 nel porto di Kagoshima, situato nell'omonima prefettura a sud dell'arcipelago nipponico, sull'isola di Kyūshū. La documentazione storica attesta che Saverio rimase in Giappone fino alla metà di novembre del 1551, quando iniziò il viaggio di ritorno verso l'Europa.
Tuttavia, non raggiunse mai la sua destinazione, poiché morì il 3 dicembre 1552 sull'isola di Sancian, al largo delle coste della Cina meridionale. Il suo arrivo in Giappone segnò l'inizio del periodo noto come "secolo cristiano", che si concluse nel 1639 con la persecuzione e l'espulsione definitiva di tutti gli occidentali cristiani da parte dello shogunato Tokugawa.
Una volta giunto in Giappone, Francesco Saverio si diresse subito verso la capitale, Kyoto, ma le sue principali attività di conversione al cristianesimo ebbero luogo sull'isola di Kyūshū, in particolare a Hirado, nella prefettura di Saga, e presso la prefettura di Yamaguchi, situata nella parte più occidentale dell'isola di Honshū. Saverio fu il primo europeo a entrare in contatto con la cultura giapponese, riconoscendone l'alto valore culturale e spirituale.
Basandosi su questa esperienza, avviò una politica di adattamento del cristianesimo alle tradizioni religiose locali, come il buddismo e lo shintoismo. Tuttavia, non riuscì a superare la convinzione fondamentale secondo cui la cultura europea, e in particolare quella cristiana, fosse superiore e che solo il cristianesimo potesse condurre alla vera salvezza. Ma lui fu solo il primo di una lunga serie di missionari, tra cui l'italiano Alessandro Valignano, al quale si deve anche un'iniziativa importante per la storia e le relazioni tra i 2 Paesi.
Il Primo Italiano in Giappone: Alessandro Valignano
Alessandro Valignano, nato a Chieti nel 1539 e deceduto a Macao nel 1606, fu una figura chiave nella storia delle missioni dei Gesuiti in Asia. Dal 1573 ricoprì il ruolo di Visitatore delle Indie, un incarico che lo rese responsabile del coordinamento e della supervisione delle missioni gesuite in Oriente per 33 anni.
Valignano, pur essendo un uomo del suo tempo, con tutti i limiti e i pregiudizi che ciò comportava (come dimostrano le sue opinioni sulla schiavitù e sulla gente di colore), si distinse anche come innovatore e anticipatore di idee.
Fu il principale artefice della politica di "inculturazione", un approccio che mirava ad adattare la missione cristiana alle culture locali. Valignano cercava anche di presentare una versione idealizzata della società europea ai suoi interlocutori, omettendo volutamente gli aspetti più problematici e le contraddizioni interne. Inoltre grazie a Valignano i gesuiti abbandonarono l'approccio eurocentrico, promuovendo invece lo studio della lingua e della cultura giapponese.
Il missionario ammirava profondamente il senso estetico giapponese, come si può vedere nel Cerimoniale per i missionari del Giappone e nel Sumario de la cosas de Japon. Valignano fu anche un convinto sostenitore della formazione di un clero indigeno, fondando e sostenendo seminari e collegi come quelli di Arima e Azuchi, dove veniva seguito un curriculum simile a quello delle scuole di Coimbra, Parigi e Roma, ma con l'aggiunta dello studio del giapponese al posto del greco.
Il suo approccio rappresenta uno dei primi esempi di studi comparati in Giappone dove venne unita la tradizione umanistica europea con lo studio dei classici cinesi e giapponesi. Tuttavia, questo sforzo comportava notevoli difficoltà, sia intellettuali che finanziarie, che contribuirono alla cronica carenza di fondi della missione. Valignano fu anche responsabile di importanti decisioni strategiche, come la scelta di Matteo Ricci per la missione in Cina e di Roberto De Nobili per quella in India.
Il suo approccio, pur non essendo formalmente definito come "italiano", si distingueva nettamente da quello di alcuni gesuiti portoghesi, come Francisco Cabral, che era contrario all'adattamento agli usi e costumi locali e all'avanzamento del clero indigeno. Questa visione più aperta e flessibile fu oggetto di critiche anche dalla Curia romana, che temeva una perdita di identità e una deviazione dai principi fondamentali della fede.
Uno degli eventi più significativi legati a Valignano fu l'organizzazione della cosiddetta "Ambasceria Tenshō", una missione diplomatica composta da quattro giovani giapponesi che partì da Nagasaki nel 1582, raggiunse Roma nel 1585 e tornò in Giappone nel 1590. Questo viaggio rappresentò il primo vero incontro tra italiani e giapponesi in Europa, aprendo la strada a future relazioni tra Oriente e Occidente.
I Primi Giapponesi in Italia
I protagonisti di questa storica ambasciata, furono quattro giovani giapponesi ordinati gesuiti da Valignano stesso: Mancio Itō, Miguel Chijiwa, Julião Nakaura e Martinho Hara.
Il 1° marzo 1585 i 4 sbarcarono nel porto di Livorno, in piena epoca di Controriforma, per rendere omaggio a papa Gregorio XIII e successivamente anche al suo successore, Sisto V. La missione fu un successo, gli Italiani erano molto incuriositi da quei ragazzi che bevevano acqua calda ed avevano un carattere così mite. Così, nel breve Ex Pastoralis Officio del 1585, papa Gregorio XIII riservò esclusivamente ai gesuiti le missioni in Giappone, consolidando così il loro ruolo nel paese.
Dopo aver visitato varie città italiane, gli ambasciatori ripartirono da Genova il 9 agosto 1585. Il loro viaggio in Italia toccò numerose località, tra cui:
- Livorno,
- Pisa,
- Firenze,
- Siena,
- Assisi,
- Perugia,
- Roma,
- Bologna,
- Venezia,
- Milano e molte altre.
Lasciarono molte tracce indelebili del loro passaggio in vari luoghi della penisola, come un affresco nella Biblioteca Apostolica Vaticana e il Teatro Olimpico di Vicenza progettato da Palladio.
La missione, documentata nelle pubblicazioni dell'epoca, come la "Relationi della venuta degli Ambasciatori a Roma sino alla partita di Lisbona" di Guido Gualtieri, ebbe un successo strepitoso e un impatto profondo sia nelle corti europee che nell'immaginario collettivo. La missione ottenne anche l'aiuto finanziario del Pontefice e la conferma delle prerogative esclusive dei gesuiti in Giappone.
Sakoku: Chiusura Del Giappone e Riapertura
Tuttavia, al loro ritorno in patria, gli ambasciatori trovarono una situazione politica profondamente cambiata, ormai ostile ai gesuiti. Il processo di unificazione del Giappone, guidato da figure come Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e completato da Tokugawa Ieyasu, che nel 1603 divenne Shōgun, ridusse significativamente l'importanza strategica della presenza europea nel paese.
A ciò si aggiunsero i timori di una possibile aggressione esterna, proveniente dalle Filippine spagnole, e la percezione di una minaccia alla coesione sociale interna. Inoltre, le critiche e le azioni dei rivali gesuitici, come i francescani e i domenicani, che avevano iniziato a propagare la fede cristiana in Giappone già dalla fine del Cinquecento, danneggiarono ulteriormente la posizione dei gesuiti.
Nel 1587, Hideyoshi emise un primo editto che invitava i gesuiti a lasciare il Giappone, sebbene non
applicato. Tuttavia, la situazione precipitò nel 1597 con la prima persecuzione dei cristiani, culminata nel martirio di 26 fedeli a Nagasaki, e si aggravò ulteriormente con la soppressione della ribellione di Shimabara nel 1637.
Infine, nel 1639, l'ultimo editto dello shogunato sancì la chiusura del Giappone al mondo esterno, interrompendo tutti i rapporti con gli stranieri, eccetto i commerci limitati con gli olandesi a Dejima. Questo evento segnò la fine del "secolo cristiano" in Giappone che chiuse un capitolo importante nella storia delle relazioni del Giappone con l'occidente, almeno fino all'epoca Meiji (1868).
Nel XIX secolo, sia l'Italia che il Giappone attraversarono fasi di significativi cambiamenti politici e sociali. L'Italia raggiunse l'unità nazionale nel 1861, durante il Risorgimento, mentre il Giappone, a partire dal 1868, avviò un processo di profonda modernizzazione seguendo modelli occidentali, noto come Restaurazione Meiji. Questo periodo segnò anche l'inizio delle relazioni ufficiali tra i due paesi.
Nel 1860, la prima nave mercantile italiana attraccò a Nagasaki, e successivamente, l'arrivo della pirocorvetta militare Magenta nel porto di Yokohama il 27 maggio 1866, portò alla firma del trattato di amicizia e commercio il 25 agosto dello stesso anno, ratificato a Edo dal capitano Vittorio Arminjon. Grazie a questo accordo, le navi italiane poterono espandere le loro operazioni nei porti di Kanagawa, Nagasaki e Hakodate.
Nel 1867, Tokugawa Akitake, fratello minore dello shōgun Tokugawa Yoshinobu, visitò l'Italia come parte del primo viaggio ufficiale giapponese in Europa, che rappresentò anche l'ultimo viaggio ufficiale organizzato dallo shogunato Tokugawa, ormai vicino alla sua fine.
Le relazioni ufficiali tra Italia e Giappone furono caratterizzate da un intenso scambio commerciale, con l'Italia che, tra la fine del periodo Edo e l'inizio del periodo Meiji, importò una significativa quantità di uova da baco da seta giapponesi.
Nel 1873, la missione Iwakura, organizzata dal nuovo governo giapponese per modernizzare il paese, visitò l'Italia, accompagnata dal conte Alessandro Fè d'Ostiani, ministro plenipotenziario per la Cina e il Giappone.
La missione visitò città come Firenze, Napoli, Venezia e Roma, dove fu ricevuta da Vittorio Emanuele II. L'interesse giapponese si concentrò principalmente sull'artigianato italiano e sui diversi aspetti della modernizzazione del paese. Nel frattempo, alcuni italiani ottennero posizioni di rilievo all'interno del governo giapponese, dimostrando la crescente influenza dell'Italia.
Anche l'arte e la cultura giapponese furono influenzate dall'Italia. La passione italiana per l'opera lirica influenzò anche la cultura musicale giapponese, portando alla creazione di un genere musicale noto come "opera giapponese", che a sua volta influenzò l'opera italiana, come dimostra "Madama Butterfly" di Giacomo Puccini.
Riapertura e Rinascita dei Rapporti Diplomatici e Commerciali
Tuttavia, al loro ritorno in patria, gli ambasciatori trovarono una situazione politica profondamente cambiata, ormai ostile ai gesuiti. Il processo di unificazione del Giappone, guidato da figure come Oda Nobunaga, Toyotomi Hideyoshi e completato da Tokugawa Ieyasu, che nel 1603 divenne Shōgun, ridusse significativamente l'importanza strategica della presenza europea nel paese.
A ciò si aggiunsero i timori di una possibile aggressione esterna, proveniente dalle Filippine spagnole, e la percezione di una minaccia alla coesione sociale interna. Inoltre, le critiche e le azioni dei rivali gesuitici, come i francescani e i domenicani, che avevano iniziato a propagare la fede cristiana in Giappone già dalla fine del Cinquecento, danneggiarono ulteriormente la posizione dei gesuiti.
Nel 1587, Hideyoshi emise un primo editto che invitava i gesuiti a lasciare il Giappone, sebbene non fosse stato applicato. Tuttavia, la situazione precipitò nel 1597 con la prima persecuzione dei cristiani, culminata nel martirio di 26 fedeli a Nagasaki, e si aggravò ulteriormente con la soppressione della ribellione di Shimabara nel 1637.
Infine, nel 1639, l'ultimo editto dello shogunato sancì la chiusura del Giappone al mondo esterno, interrompendo tutti i rapporti con gli stranieri, eccetto i commerci limitati con gli olandesi a Dejima. Questo evento segnò la fine del "secolo cristiano" in Giappone, periodo che rimase un capitolo chiuso fino all'epoca Meiji (1868).
Nel XIX secolo, sia l'Italia che il Giappone attraversarono fasi di significativi cambiamenti politici e sociali. L'Italia raggiunse l'unità nazionale nel 1861, durante il Risorgimento, mentre il Giappone, a partire dal 1868, avviò un processo di profonda modernizzazione seguendo modelli occidentali, noto come Restaurazione Meiji. Questo periodo segnò anche l'inizio delle relazioni ufficiali tra i due paesi.
Nel 1860, la prima nave mercantile italiana attraccò a Nagasaki, e successivamente, l'arrivo della pirocorvetta militare Magenta nel porto di Yokohama il 27 maggio 1866, portò alla firma del trattato di amicizia e commercio il 25 agosto dello stesso anno, ratificato a Edo dal capitano Vittorio Arminjon. Grazie a questo accordo, le navi italiane poterono espandere le loro operazioni nei porti di Kanagawa, Nagasaki e Hakodate.
Nel 1867, Tokugawa Akitake, fratello minore dello shōgun Tokugawa Yoshinobu, visitò l'Italia come parte del primo viaggio ufficiale giapponese in Europa, che rappresentò anche l'ultimo viaggio ufficiale organizzato dallo shogunato Tokugawa, ormai vicino alla sua fine.
Le relazioni ufficiali tra Italia e Giappone furono caratterizzate da un intenso scambio commerciale, con l'Italia che, tra la fine del periodo Edo e l'inizio del periodo Meiji, importò una significativa quantità di uova da baco da seta giapponesi.
Nel 1873, la missione Iwakura, organizzata dal nuovo governo giapponese per modernizzare il paese, visitò l'Italia, accompagnata dal conte Alessandro Fè d'Ostiani, ministro plenipotenziario per la Cina e il Giappone.
La missione visitò città come Firenze, Napoli, Venezia e Roma, dove fu ricevuta da Vittorio Emanuele II. L'interesse giapponese si concentrò principalmente sull'artigianato italiano e sui diversi aspetti della modernizzazione del paese. Nel frattempo, alcuni italiani ottennero posizioni di rilievo all'interno del governo giapponese, dimostrando la crescente influenza dell'Italia.
Anche l'arte e la cultura giapponese furono influenzate dall'Italia. La passione italiana per l'opera lirica influenzò anche la cultura musicale giapponese, portando alla creazione di un genere musicale noto come "opera giapponese", che a sua volta influenzò l'opera italiana, come dimostra "Madama Butterfly" di Giacomo Puccini.